Prorogata al Vittoriano di Roma la mostra dedicata a Warhol e Pollock

di M.L - R.V 22/02/2019 ARTE E SPETTACOLO
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Grazie al grande successo di pubblico, la chiusura delle due mostre “Andy Warhol” e “Pollock e la Scuola di New York”, è stata prorogata al 5 maggio 2019. 

La mostra dedicata ad Andy Warhol, riassume in 170 opere, l’incredibile vita di un personaggio che ha cambiato per sempre i connotati non solo del mondo dell’arte ma anche della musica, del cinema e della moda. La seconda, invece, è dedicata ai cosidetti ”Irascibili”, ovvero a quel gruppo di artisti che vissero e lavorarono con Pollock nella New York del secondo dopoguerra. Attraverso circa 50 capolavori la mostra immerge il visitatore nell’espressionismo astratto.

 “Il consumatore più ricco compra essenzialmente le stesse cose di quello meno ricco o anche più povero”.

“Tutti gli americani possono comprare allo stesso prezzo la stessa latina di Coca cola e tutti con quella medesima cifra non potranno che comprarne una migliore”.

Bastano frasi come queste per rendersi conto di quanto Andy Warhol avesse compreso l’essenza stessa più profonda del suo tempo. Un’essenza fatta di consumismo, ambizione, voierismo, esaltazione del mito del successo e dell’apparire.

Warhol figlio di immigrati slovacchi nato a Pittsburg e trasferitosi giovanisimo nella New York del secondo dopo guerra è stato, oltre che un grande artista dotato di straordianario talento per le immagini, probabilmente uno dei massimi osservatori della società americana del Ventesimo secolo.

Solo guardando al suo tempo, alle luci di una ribalta che in quegli anni sembrava non dovere avere una fine, potè affermare senza dubbi che chiunque nell’America e nel mondo della fine del Novecento avrebbe avuto non solo il diritto ma anche la concreta possibilità di diventare famoso, se pure per solo per pochi minuti.

Un’intuizione fenomenale ben descritta dalla mostra in corso al Vittoriano di Roma e visitabile fino a questo week end assieme alla mostra su Pollock e la scuola di New York.

Curata da Matteo Bellenghi e allestita nell’Ala Brasini del grande complesso situato tra Piazza Venezia e il Campidoglio, la mostra celebra il novantesimo anniversario della nascita del maestro della Pop Art, nato infatti a Pittsburgh il 6 agosto del 1928.

Le centosettanta opere in esposizione, tra cui celebri dipinti e disegni, tracciano la storia e l’evoluzione artistica di Warhol a partire dai primi anni Sessanta. Al contempo, la mostra definisce l’influenza che l’artista americano, e la Pop Art più in generale, ebbe sull’immaginario collettivo e sulla cultura visiva nella società dei consumi.

La sua produzione risalente già ai primi anni 50 fu giudicata dai critici di allora ancora ancorati alla tradizione di un’arte figurativa socialmente e moralmente accettabile, funzionale al vecchio sistema di poteri, povera, sciatta e priva di talento. Quei critici non potevano accettare, dal loro punto di vista, che barattoli di alimenti venissero trasformati in “muse ispiratrici”. Ma soprattutto non erano in grado di capire quello che Warhol aveva già capito. Ovvero che l’epoca dell’arte basata sulla produzione dei pezzi unici e irripetibili era finita.

La serialità, la ripetitività, la riproducibilità all’infinito degli oggetti, che nell’ispirazione di Warhol si fanno oggetti d’ispirazione e creatività, diventano la riproducibilità stessa della produzione artisitica.

Prima di tutti Warhol aveva compreso quanto la nuova figura di artista dovesse confrontarsi con l’universo comunicativo che si stava spalancando per mezzo dei media, della televisione, della pubblicità, delle immagini dei film, della potenza evocatrice e immediatamente fruibile della musica.  

Di tutto questo racconta la mostra del Vittoriano: è possibile ammirare questa sua abilità visionaria dalle serie dedicate alle minestre in scatola Campbell o alla Coca Cola a quelle su Elvis Presley e Marilyn Monroe, dalle copertine dei dischi dei Rolling Stones e dei Velvet Underground ai disegni vagamente feticisti di scarpe femminili (oggetti da cui era letteralmente ossessionato), Warhol ha trasformato abilmente gli oggetti del quotidiano e i personaggi della cultura popolare in icone dell’arte contemporanea.

L'action painting di Pollock, uno stile di pittura dove il colore viene lanciato sul quadro o fatto gocciolare spontaneamente, invece che applicato con metodo gestuale mirato sopra la tela si diffuse negli anni quaranta e sessanta, ed è strettamente associato con l'espressionismo astratto.

Pollock dipingeva facendo colare dall'alto vernici e colori su quadri e tele di grandi dimensioni attraverso la tecnica pittorica del dripping. Egli abolì letteralmente il quadro col cavalletto ed in generale l'elaborazione statica del dipinto appeso in verticale. Nella visione dell'artista, stendendo la tela a terra, veniva meglio girarvi intorno e così poteva sentirsi parte integrante del quadro. Il mito di Pollock è alimentato, inoltre, dalla sua fine violenta e dal fascino per l'auto distruzione che ha connotato tutta la sua vita e che lo fa rassomigliare a una rock star.

Oltre al genio di Pollock, nella mostra si ha la possibilità di scoprire artisti della scuola espressionista di New York, forse meno famosi per il grande pubblico ma non di impatto minore. Articolata in sei sezioni , la mostra consente di addentrarsi in un percorso alla scoperta dell'espressionismo astratto, una corrente dalla carica emotiva rivoluzionaria che molto ha influenzato l’arte contemporanea.

 

 

 

 

 

 


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